“Fiamme in paradiso” di Abdelmalek Smari
A cura di Karim Metref
In un Italia in cui sembrano lontani (fin a dubitare della loro esistenza) i tempi della povertr, dell’emigrazione, dell’avventurosa ricerca della fortuna nel nuovo mondo e delle umiliazioni nel vecchio; in un Italia ormai iscritta nel gruppo degli otto paesi piu ricchi e/o piu potenti del pianeta; in un Italia, infine, divisa tra la volontr di produrre sempre di piu e a costi ridotti e la paura di perdere l’anima nell’inevitabile arrivo di manodopera straniera che cin induce, si forma, poco a poco, una specie di sotto societr di immigrati provenienti per lo piu dall’Africa o dall’America Latina. Ed c questo il sottofondo del romanzo di Abdelmalek Smari .
Non c il melting-pot etnico e culturale che si vede a Londra, New-York o a Parigi con la creazione di una intensa vita culturale e di un élite dell’emigrazione che comincia a essere presente a tutti i livelli della vita del paese, tranne il potere politico ( perché comunque, per intenderci, non si tratta di paradisi multietnici) e non c il regno dei gruppi isolati ma iper-imprenditori come sono le comunitr cinesi in America o i Turchi in Germania. Qui si tratta di un immigrazione nuovissima che, come accade spesso, c ancora al livello della proto-immigrazione (popolazioni di uomini in maggioranza giovani, celibi o sposati ma con le mogli rimaste al paese di origine), un immigrazione tollerata solo sui luoghi di lavoro duro, sporco, pericoloso o comunque mal remunerato. Una immigrazione senza accesso alla vita pubblica, senza rappresentanza culturale degna di essere citata e quindi senza quasi nessuna produzione culturale, artistica o letteraria che possa testimoniare di questa loro dura vita. E in questo contesto, l’uscita del libro di “Fiamme in paradiso” c un evento in se perché c una testimonianza preziosissima di come una comunitr di immigrati, clandestini, di origine nordafricana (ma soprattutto algerina come l’autore, una delle piu piccole comunitr di immigrati in Italia) vive questo esilio in un paese che non riesce ancora ad ammettere la sua crescente multietnicitr e muticulturalitr.
Quando Karim, il protagonista del romanzo “Fiamme in paradiso”, c sul punto di lasciare il paese, egli fa un ultimo giro della stampa nazionale come per scrutare un segno di miglioramento, una piccola speranza, una vaga promessa di ritorno felice in un paese guarito dalla follia collettiva che lo colpisce. Ma invano. La situazione in questa Algeria degli anni novanta c decisamente brutta e non si vede la fine del tunnel.
Quando si c un giovane pieno di vita e di entusiasmo, che si consacra al raggiungimento del piu alto traguardo che gli studi gli permettono e, dopo anni di sacrificio, ottenerlo, si ha giustamente l’ambizione di trovare un lavoro degno, di avere una vita dignitosa, di poter fondare una famiglia, di avere una vita culturale al livello della sue aspirazioni e di partecipare in un modo concreto alla costruzione del suo paese e alla sua gestione. E tutto questo c negato all’eroe nel suo paese e lo costringe ad andare via a cercare fortuna lontano dalla sua casa e patria.
Nato negli anni sessanta, nell’euforia dell’indipendenza appena ritrovata dopo 130 anni di schiavitu, Karim si presenta alla vita adulta negli anni novanta in piena guerra civile, dopo che il sogno di “una vita migliore” per tutti sia svanito nel labirinto della dittatura militare, della borghesia di stato corrotta e corruttrice e del finto benessere mantenuto coi redditi del petrolio e poi col ricorso all’indebitamento massivo.
Karim, come una buon parte di quelli della sua generazione, ha ricevuto un insegnamento decente (quel che non c successo alle generazioni seguenti poiché una serie di riforme dette di “algerianizzazione” della scuola l’hanno completamente sfasciata). Egli ha accesso in modo quasi uguale all’Arabo e al Francese. Due lingue, due veicoli di due culture (Occidente/Oriente), che non hanno mai imparato a vivere in serenitr l’una accanto a l’altra ed accettare come normali l’interscambio tra di loro. L’Algeria del dopo indipendenza vive la sua pluralitr culturale in modo conflittuale e addirittura violento (questa opposizione c una delle maggiori ragioni dell’attuale guerra civile ma non la principale come viene spesso presentato all’estero). Sono una moltitudine di modi diversi di essere Algerino che si affrontano nella societr ma anche nella personalitr di Karim e dei suoi compatrioti.
C da questo ambito sociale, culturale e politico che Karim, un giorno, prende la sua borsa con dentro un po’ di vestiti (all’occidentale), un po’ di pane secco (tipicamente nordafricano / Berbero) e poi qualche libri in Francese e in Arabo (Oriente/Occidente), per dirigersi verso quello che lui considera un paese di storia, cultura e di civiltr: l’Italia.
Pern, l’Italia, quando si arriva da povero immigrante, non c quella sognata ne quella descritta nei libri. L’Italia “dei libri”, lui l’intravede appena tra una ricerca continua di un luogo per dormire e di qualcosa da mangiare, tra un umiliazione continua, uno sfruttamento sporadico da parte dei piccoli padroni e una violenza poliziesca che finisce di laminare il poco di illusioni che rimanevano in lui. L’Italia, lui la vede soprattutto attraverso uno sguardo deformato dalle troppe frustrazioni, dalle umiliazioni continue, dall’odio e da un ignoranza sapientemente mantenuta da alcuni “capi spirituali”: quello degli altri clandestini nordafricani, quegli che l’hanno preceduto di vari anni nell’inferno dell’immigrazione clandestina: un gruppo di Nordafricani che girano intorno al centro culturale islamico. Ma, uomo colto e dotato di spirito critico, l’eroe del romanzo rifiuta di cadere nelle trappole del pregiudizio e dei ghetti auto imposti. Egli ricerca di capire, di parlare, di aprirsi una breccia nel muro d’intolleranza che separa i due mondi. Questo pern, da una parte non serve a migliorare la sua sorte o a risolvere i suoi problemi materiali e dall’altra lo isola dal gruppo di compatrioti e correligionari che, sotto la spinta di alcuni integralisti vedono in lui un traditore.
La morte mette un termine alla dolorosa ricerca di Karim di un posto al sole. Ma neanche la sua morte assurda o la normale compassione, che si ha di fronte ad una vita interrotta nella sua primavera, servono a riconciliare i due mondi antagonisti. La stampa presenta il bilancio dell’incidente con un “morti quattro persone e un Marocchino” e la comunitr nordafricana e musulmana si rifiuta di aiutare a riportare al paese la sua salma, come si sarebbe fatto per un “buon musulmano”.
Quando ho chiuso il libro di Abdelmalek Smari, sono rimasto con una profonda tristezza e anche un po’ di disillusione. Forse speravo una “Happy-end” per rassicurare il bambino che dorme in ognuno di noi e che crede ancora nelle fate (tiwkilin come si chiamano da noi) e nel lieto fine che, almeno nelle fiabe e nei film americani, c sempre la ricompensa dei bravi ragazzi come lo c stato Karim in questo romanzo. Ma il libro di Abdelmalek Smari non c una fiaba, c un romanzo realista e triste, molto triste, che non lascia spazio alla speranza. Pern, con delle realtr cose, che sono veramente drammatiche, ancora vissute o, se sono finite, le cui ferite non sono ancora chiuse, c molto duro presentarli in un altro modo. E per quello, Fiamme in paradiso c un concentrato di realtr. Delle realtr che Abdelmalek Smari e gli altri immigrati dell’Algeria, del Nordafrica e del resto dei paesi del terzo mondo, hanno visto e vissuto e vivono ancora.
Genova, il 29 gennaio 2001.
Fiamme in paradiso. Abdelmalek Smari. Il Saggiatore. Milano, 2000