A cura di Francesca Chiarla
Leggendo la raccolta di poesie di Viorel Boldis, si ha l’impressione di assistere all’evoluzione della varie fasi dell’esistenza di un uomo che dalla necessità di urlare la sua rabbai “graffiando” con la penna il foglio bianco giunge alla consapevolezza ed alla maturità del poeta cha amplia il suo sguardo sul mondo.
Nella prima parte del testo, si percepisce fin dal titolo, una sorta di cupa atmosfera che ricopre i pensieri e le sensazioni e che fa sentire il poeta e, di conseguenza il lettore, “da soli nella fossa comune”; oltre all’anonimato dato dalla condizione di essere seppellito senza un nome, viene sottolineato il forte senso di solitudine in un luogo in cui soli non lo si dovrebbe essere. La realtà descritta dalle poesie in questa prima tappa della vita e della raccolta del poeta fa parte di un mondo ostile richiamato spesso dall’immagine evocativa dell’autunno e della nebbia sulla quale il migrante non ha alcun diritto di appartenenza, perchè è proprietà esclusiva dell’ “homus padanus”. E’ la condizione dello straniero con le sue difficoltà ed ingiustizie la protagonista di questi pirmi componimenti in cui il poeta alterna toni cupi e duri ad altri ironicamente pungenti che sembrano lasciare poco spazio alla libera interpretazione: “Se, dopo tutto, abbiamo il coraggio di sentirci davvero dei veri cittadini, voi ci ricordate che la nostra vita non è che uno scherzo….della Bossi-Fini!” .(pag.31)
Lo straniero descritto da Viorel Boldis non sembra avere molte alternative se non quella di vedersi inesorabilmente legato ad una condizione “routinaria” in cui si è imprigionati nella consapevolezza dell’impotenza umana di fronte al tempo che scorre in un mondo in cui anche un’ombra può essere clandestina: ““Il permesso di quest’ombra, per favore!” Lo guardavo impotente, come un quadro, “Vai in giro con un’ombra di colore, sei un bianco, l’hai rubata, sei un ladro!” ”(pag.24) Nello scorrere della lettura capiamo, però, che la paura più grande non è rappresentata da quella solitudine evocata dal titolo, bensì dall’indifferenza di chi nemmeno ti odia, ma a malapena ti guarda annoiato proprio come si guarda una statua in una piazza: “Salutatemi o insultatemi! Fate qualcosa ognitanto!”. (pag. 12)
Se, la lettura di questa prima parte lascerà al lettore l’amaro in bocca, la seconda parte ci condurrà piacevolmente fra le rime di una poesia diversa, più intimista e più positiva che sembra comunicare un nuovo messaggio di speranza per ricomunciare non solo aviver, ma ad esistere e ad essere consapevoli della propria esistenza cercando di creare alternative e “nuovi mondi”: “Da solo il mondo me lo costruisco, buttando nella spazzatura i brutti ricordi. Li seppellisco.”. (pag.66)
Anche l’amore gioca un ruolo fondamentale nei versi del poeta che, anche se rivolgendosi direttamnte alla donna amata, esprime concetti più ampi che abbracciano la natura stessa dll’esistere e che danno risposte ai grandi interrogativi dell’uomo: che cos’è la vita? Che cos’è la morte? Che cos’è l’amore? Queste domande portano inevitabilmente a dover fare riferimento ad una dimesione altra che, nutrendosi di quotidianità e “delle cose dell’uomo”, rende la vita terrena più spirituale.
La seconda tappa prepara, quindi, il terreno alla tappa successiva che definirei della maturità poetica passando attraverso una prima consapevolezza legata al cosa significhi essere poeta che Viorel Boldis ci spiega con un’immagine che, immediatamente, si svela al lettore: “Essere poeta intorno alle cose sconosciute significa spiegare il volo senza parlare degli uccelli.”. (pag.56)
Giunti alla terza parte, si ha subito la sensazione di essere stati catapultati in una poesia nella quale si distingue una forte dimensione palnetaria in cui l’uomo è parte del tutto; siamo parte dell’Assoluto e dell’al di là, ma siamo fatti anche di terra da annusare a da respirare fino in fondo per sentirci vivi.
Sicuramente da sottolineare in questa parte è l’utilizzo della lingua italiana con la quale il poeta osa inventare e giocare per renderla più viva, forse perchè ha raggiunto una consapevolezza maggiore rispetto alla propria scrittura non utilizzata solo più come arma contro le ingiustizie, ma concepita come strumento letterario delicato e diretto allo stesso tempo. A questo proposito, alcune poesie scelgono un tono volutamente provocatorio per sottolineare come, per essere poeta, non basti dare un nome alle cose, ma spesso sia sufficiente avere una sensibilità tale per cui ciò di cui vorresti parlare ti si svela; il poeta diventa, quindi, solo il tramite sensibile fra il mondo ed il lettore che in quelle parole evocherà il proprio vissuto.
Il viaggio che abbiamo intrapreso giunge al termine in quest’ultima parte intitolata “Attimo infinito”. Non abbandonando mai l’ironia e la pungente intelligenza nell’affrontare certi temi, il poeta lascia nel lettore una forte sensazione di speranza espressa attraverso una forma linguistica che stravolge e rende più vivi alcuni verbi della lingua italiana che, per l’insistenza della loro natura autoreferenziale, sembrano avere una valenza maggiore e proprio per questo ci spingono a reagire : “Più tempo ho, più vivo sono, mi muoio, mi rinasco, mi perdono, mi attraverso in fretta, mi conosco, mi muoio, mi perdono, mi rinasco.”. (pag.135)
E chi è un poeta se non colui che, attraverso le sue parole, interpreta e ci svela l’essenza stessa della vita?
Da solo nella fossa comune. Viorel Boldis. Gedit edizioni, 2006, Pp.112, Euro 14,00, ISBN 88-88120-93-9