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Questo romanzo di Helene Paraskeva ci getta in una realtà non ben identificabile ma che avvertiamo subito come tremendamente possibile. Un giallo, forse, se proprio vogliamo ricondurlo ad un genere. Ma se per tale dobbiamo prenderlo, allora dobbiamo considerarlo un giallo che si tuffa nelle ambiguità che accompagnano i sentimenti nel nostro tempo, dove tutto può essere il contrario di tutto. Non come relativismo assoluto, piuttosto come possibilità di trasformazioni, di mutamenti che avvengono in noi e in ciò che ci circonda. Un giallo ben architettato, in cui gli eventi incalzano sotto la pressione delle trasformazioni e dei mutamenti.
Il perno intorno a cui ruota il romanzo è dunque il camuffamento, altro modo di trasformare e trasformarsi. Anche l’intreccio è intriso di questo spirito. Partiamo da una donna non più giovane, che lavora in un’organizzazione non ben definita ma che ha a che fare con il controllo, la sicurezza, quindi il potere. La nostra protagonista si ritroverà immischiata in affari di cui inizialmente non conosce la vera portata. È assunta nella stessa compagnia del marito scomparso, ma viene subito reclutata per una missione apparentemente semplice che però darà il via al suo coinvolgimento nelle trame sempre più dense e losche degli affari dell’Azienda, la McTrash. La nostra è un’eroina in senso classico, è l’io narrante, ed è il suo sguardo che ci racconta gli eventi, di cui non è così solo vittima come ci vuol far credere.
Noi lettori siamo, così, spinti dagli eventi verso una verità/non-verità mutevole. Ogni volta che ci avviciniamo alla risoluzione dell’enigma, ci ritroviamo catapultati verso uno nuovo, che non è altro che un’altra versione del precedente. È forse il senso della mitologia di cui il romanzo è fortemente imbevuto, una codificazione della realtà che va interpretata attraverso i simboli anche misterici che costituiscono una parte della chiave dell’architettura della trama.
Dunque le trasformazioni, i camuffamenti, la verità/non verità, tutto non solo è parte fondante dei personaggi, ma ogni elemento della narrazione ha la sua trasformazione. Citiamo solo due esempi, cominciando dagli elementi strutturale: tempo e luogo.
La storia si dipana in vari momenti e luoghi narrativi. Tempo e spazio, quindi assumono un’importanza fondamentale sia nella struttura del testo, sia nell’intreccio.
All’inizio di ogni capitolo abbiamo una precisa indicazione del luogo dove si svolgono i fatti e del tempo, rispetto all’episodio introduttivo. Questo sicuramente rimanda a reminiscenze aristoteliche, ma indica anche che siamo completamente inseriti in un contesto ben preciso cioè quello della formazione dell’intreccio giallistico moderno. L’indicazione del tempo e del luogo, senza disturbare Aristotele, in questo contesto non fa altro che sottolineare, accentuare, evidenziare l’importanza di questi due elementi, non solo dal punto di vista narrativo, cioè il loro inserimento nell’intreccio come parte fondante, ma come implicazione stessa della narrazione. Le indicazioni non sono canoniche come si vedono nei romanzi americani, attualmente di moda cioè il luogo magari siglato e l’ora esatta di qualche fuso. L’indicazione è variabile. Fino ad un certo punto si tratta di annotazioni come il giorno dopo, qualche giorno dopo e così via. Insomma annotazioni indicative, generiche, legate allo “scorrere lineare” del tempo nell’accezione occidentale con l’uso degli indicatori prima e dopo. Soprattutto sono oggettivi, ci introducono a qualcosa di misurabile, di individuabile. Poi però l’indicazione si adegua a quello che stiamo leggendo, gli eventi si fanno più eterei, più sfumati, siamo nella verità/non-verità, allora può essere la grande sera, o ancora fuori dal tempo, o nella tempesta. Così il tempo e il luogo dove si svolgono le vicende sfumano, e non sono più solamente tempo e luogo ma sono TEMPO E LUOGO peculiari, intimi e relativi a quelli di cui si sta parlando. Legati solo alla prospettiva dell’individuo e non più riconducibili ad una forma oggettiva.
L’altro esempio è dato dai personaggi. Nei personaggi la caratteristica del mutamento e del camuffamento del romanzo è lampante ed è il suo elemento di forza. Ogni singolo personaggio non è quello che sembra. Partendo dalla protagonista stessa. È un’impiegata, chiusa in un posto claustrofobico, che deve trascrivere le telefonate di un uomo. Capiamo subito che c’è qualcosa che non va. Capiamo subito che non si capisce chi sono i cattivi e chi i buoni. Siamo trascinati in un mondo ovattato che pensiamo di riconoscere nonostante sia camuffato in qualcos’altro, e qui abbiamo il primo grande componente narrativo ad essere oggetto di questo trattamento da parte dell’autrice: la grande azienda che controlla e che viene controllata, l’instabilità dei detentori di potere, ma non della manifestazione di potere. Ancora trasformazioni. Ecco forse l’unica costante, l’immutabile, è proprio la lotta per il potere. Quella c’è sempre. Ritornando alla protagonista abbiamo questa donna che fa questo strano mestiere e non capiamo perché è rimasta invischiata in questa storia: è insignificante, non attira né la nostra ammirazione né la nostra simpatia e quasi aspettiamo che arrivi qualcun’altra al suo posto. Ma questa donnetta comincia ad addentrarsi in se stessa e noi con lei. E poi si addentra in un mondo strano per lei e per noi. E noi vediamo tutto con i suoi occhi. Gli occhi di una moglie che ha perso il marito proprio quando lo stava per lasciare. E che si trova coinvolta negli stessi affari del marito. Quella donna si trasforma, e ad un certo punto non è più quella donnetta isterica dell’inizio. Diventa una donna innamorata piena di desiderio e di ardore e finalmente una donna matura che fa piacevolmente sesso con un ragazzo molto più giovane di lei senza troppe paranoie (o quasi…). Questo momento di trapasso da uno stato all’altro cioè dalla condizione di donna insignificante a quella di donna decisa e piena di iniziativa avviene proprio quando è costretta a camuffarsi e fingersi un’altra.
C’è la trasformazione del giovane che accompagna la nostra protagonista, c’è la trasformazione di un collega. Soprattutto c’è la trasformazione di un’isola e del suo ideatore, come della persona che ci vive.
Ecco la bellezza di questo romanzo: le sue continue trasformazioni, che qualcuno chiama colpi di scena, disvelano una rappresentazione della vita, uno sguardo sulle vite che ci circondano, e il suo continuo mutare.
Allora alla luce di questo perno intorno al quale ruota il romanzo, (ma è solo uno dei perni perché ne possiamo trovare altri, come la continua ricerca della verità, anche attraverso la vendetta) potremmo dire che c’è una necessità ed è quella di andare oltre le cose apparenti.
Mi sembra che l’idea sia quella di un ricerca oltre l’apparenza, oltre ciò che i nostri occhi vedono e ciò che vogliono farci vedere. Oltre le nostre costruzioni mentali. Accanto a questo aspetto e in perfetta sintonia o meglio empatia c’è l’idea della variabilità, della mutevolezza delle cose, che non hanno sempre lo stesso aspetto ma si evolvono, si muovono. E noi con loro. Niente è statico, niente è come se stesso. O come appare.
Nell’uovo cosmico. Helene Paraskeva, Faraeditore, 2006