Recensione N.18: “L’Argonauta” di Milton Fernandez (II)

A cura di Susanne Portmann

La lettura de “L’argonauta” di Milton Fernàndez, vincitore della sezione romanzi del concorso “Lo sguardo dell’altro” 2006, è un’esperienza forte: giunto a fine, il lettore, naufrago dello sgomento, affanna disperato in cerca di un appiglio per tenersi a galla.

argonautaIntravede infine due assicelle che afferra alla meglio con un braccio ciascuna: “Lo straniero” di Albert Camus e “La battaglia nel cielo”, film del messicano Carlos Reygadas. E ciò che sembrava un catamarano di fortuna, ci permette invece di compiere il viaggio di un esercizio di comparazione appassionante sulla scia della lettura de L’argonauta.

Il protagonista di Camus è Mersault, francese ad Algeri ai tempi del colonialismo, il tranquillo impiegato che l’indomani della morte della madre (non era colpa sua, doveva succedere), fa l’amore con la bella Marie, che “non crede di amare”; Mersault è il protagonista che poi sparerà a “l’Arabo” perché ha visto il coltello brillare nel sole della spiaggia infiammata, stesso identico sole del giorno del funerale della madre. E si rende conto all’istante di aver rovinato “l’equilibrio del giorno, il silenzio eccezionale di una spiaggia” dov’era stato felice. E quindi compie il gesto ulteriore, gratuito: tira altre quattro pallottole sul corpo inerte dell’arabo – quattro colpi dati alla porta del “malheur”, del malessere.

Il protagonista de La Battaglia nel cielo è Marcos, l’autista stressato della Città del Messico nonché diligente addetto all’innalzare e riavvolgere della bandiera nazionale, giorno dopo giorno al suono degli stivali e delle urla dei militari. Marcos è colui che dopo la morte del bambino che aveva rapito agli amici assieme alla moglie (cose normali, si fanno tanto per arrotondare un po’ lo stipendio, non è certo colpa loro se il bambino è morto), viene travolto della bellissima figlia di un generale, che fa la puttana (per spasso, per noia o per ribellione?), tanto da offrirsi, gratis, perfino a Marcos, contrario assoluto di uno “figo”.

Il protagonista di Fernàndez è Julio, impiegato statale ansioso ai tempi della dittatura militare in Uruguay il cui atto più sovversivo consiste, ogni venerdì sera, nel tirare fuori dal mucchio dei ricorsi una cartella a caso per deporla in cima al mucchio, tanto per fare un favore a un poveraccio che comunque mai verrà preso in considerazione. Anche Julio verrà travolto dall’incontro con una bella donna – Silvia-Estela. Anzi no, lui farà in modo che lei, la “compañera”, quella che la dittatura la combatte invece di starsene terrorizzata a sbirciare da dietro le tende ed aspettare che tutto finisca, lo trascini con sé nell’esilio – Milano per caso.

Lui è l’argonauta, il mollusco che vive lasciandosi trascinare dalla femmina. Una felicità inaspettata la sua: le farà la spesa, cucinerà i pasti, laverà i piatti, toglierà polvere e ragnatele… Milano è dura, certo, neanche una brezza di mare, niente documenti, niente lavoro, solo lavoretti… ma non c’è il capoufficio impiccione, ci sono barbecue tra compagni esiliati, si incontra perfino qualche anarchico autoctono. E poi Silvia qui è solo Silvia, donna e basta, sua, solo sua: il sogno è perfetto! Ma qualcosa sta crescendo, ancora invisibile prende forma… e il regime cade proprio sul più bello: e ora che si fa, mica si tornerà in patria?

La colonizzazione francese ci consegna l’eredità dello “straniero”, il regime del PRI messicano ci porta il tassista Marcos. La dittatura uruguaiana, attraverso Milton Fernàndez, ci recapita L’argonauta, memorabile, perché forse puntualizza il tratto nascosto dei suoi fratelli in arte: il loro essere molluschi, caratterizzati da qualcosa che non hanno (la spina dorsale?), ma che fa loro compiere “un più” che è “il malheur”.

Essendo argonauta, Julio rappresenta una specie umana che va analizzata per bene, perché oltre la letteratura, potrebbe offrire occasione di studio privilegiata per quegli atti inspiegabilmente reali, di cui ogni giorno leggiamo sulle cronache: i vicini e i familiari non se lo spiegano, erano persone tanto per bene e tranquille, ma chi avrebbe mai potuto immaginare, tenevano così bene in ordine la casa, erano sempre così puntuali…: la schizofrenia nascosta nella “normalità” che viene costantemente definita come “imprevedibile” (può capitare a tutti, no!) dagli addetti ai lavori che si precipitano nei salotti televisivi di turno.

Facendo caso a Meursault, a Marcos e a Julio – eroi senza alcun fascino apparente, esseri modesti se non meschini – apprendiamo che il “malheur” trae origine dai loro incontri con donne eccezionalmente belle e che a loro si offrono spontaneamente. Si ritrovano a letto con donne così senza capacitarsi del perché: di loro iniziativa non avrebbero mai neanche provato a trovare il coraggio di lanciarsi alla loro conquista, talmente sono consapevoli di essere privi di ogni coraggio, talmente sono consapevolmente impegnati a fare vite normali e vuote e ad essere insignificanti sul piano umano. Ma ecco queste donne e scatta qualcosa, di inquietante.

Il colonialismo aveva finalmente portato un po’ di spirito di civiltà su quelle sponde popolate da selvaggi senza dio cristiano. I regimi militari, efficientissimi nello sradicare ogni “anarchia” che minacci l’ordine gerarchico per mezzo del terrore, le ben ordinate società borghesi occidentali, tanto più apprezzate, quanto più pacifici e diligenti lavoratori sono i cittadini, pulite le strade, amorevolmente sottomesse ai mariti le mamme e obbedienti consumatori i figlioli: c’è molto ordine in queste follie storiche e attuali, occidentali, c’è molta razionalità fredda che garantisce il funzionamento economico perfetto. Ordine che ha l’unico piccolo difetto di compiere, talvolta, salti di qualità incontrollabili, quando qualche bella donna strafottente e senza paura riesce a far saltare la centralina di comando ai conigli inchiodati dai fasci abbaglianti nella notte delle loro vite insignificanti (l’immagine mirabile che ci regala Fernàndez della loro condizione).

Giunti qui, però, timidamente si fa avanti anche un altro eroe, e non sappiamo perché: è il mite Gregor Samsa, triste viaggiatore commesso dell’impero austro-ungarico, angustiato dalle alzatacce e dalle giornate faticose: lui non si ritrova nel letto una bella donna, ma si ritrova ‘a letto’, trasformato in insetto immondo, dopo una notte di sogni agitati. Senza ragione alcuna, a lui accade qualcosa di veramente inspiegabile, di fiabescamente irrazionale, che gli farà subire il suo destino assolutamente unico, di lasciarsi morire dalla sua famiglia nel suo guscio d’insetto in cui pur mai gli viene meno il desiderio di ascoltare la musica che solo gli esseri umani fanno e sentono. Non scatta niente, l’ineluttabile si compie lungo l’arco di qualche mese, il tempo che anche il padre, oltre la sorella, si convinca che “questa cosa, deve sparire”. Il tempo che il padre riesca a “liberarsi del pensiero che la cosa, sia Gregor”.

Non sappiamo bene perché si affaccia anche Gregor Samsa, diverso da Mersault, da Marcos e da Julio, ma certamente verrebbe di continuare ancora questo viaggio davvero appassionante che scaturisce dalla lettura de L’argonauta di Milton Fernandez, che, più che scoprirsi un prodotto della letteratura di migrazione in Italia, si inserisce agevolmente nella migliore tradizione artistica, universale.

 

L’argonauta, Milton Fernandez, Editore: Traccediverse – 2007 pp. , 11,00 € ISBN: 88-89862-36-x