A cura di Viorel Boldis
Quando per la prima volta ho sentito parlare di questo romanzo di Marina Sorina: “Voglio un marito italiano” Edizioni Il Punto D’incontro 2006, e ho visto la sua copertina, istintivamente l’ho catalogato come “roba facile”, una scorciatoia per arrivare nei cuori (e nelle tasche!) dei maschi italiani, quelli ormai, diciamolo pure, passati nelle file degli ‘anta i quali, poverini, fanno fatica ad accedere alla pregiata merce autoctona.
Quando però, ho aperto … il romanzo (stavo per scrivere … quelle gambe!) spinto dalla curiosità che tante volte mi ha fatto sprecare soldi per cose inutili, e mi sono immerso nella sua lettura, ho dovuto ricredermi: la storia che il romanzo narra non c’entra quasi niente né con il titolo, né tanto meno con la copertina, anche se, ammettiamolo pure, quelle gambe attirano lo sguardo ma sono un po’ storte, (ecco perché tante volte le scelte delle case editrici rovinano già in partenza un libro).
Può darsi io non riesca ad essere obbiettivo nel giudicare questo romanzo, avendo già vissuto sulla propria pelle tante delle esperienze di Svetlana , la protagonista della storia. Mi sono ritrovato e commosso tra le sue pagine, nelle sventure della povera Svetlana, nei suoi sogni, nella sua ingenuità, nella sua incapacità di capire e di farsi capire. Mi sono ritrovato anche negli austeri condomini di matrice sovietica, e nello squallido commercio transfrontaliero dove si vende e si compra la sovrabbondanza del mondo capitalista. Mi sono ritrovato anche nella ruvidità di quei padri spesso ubriachi e troppo spesso violenti. Mi sono ritrovato e mi sono commosso. Si dice che il maschio dell’Est non si commuove mai. Balle!
Forse la costante che più caratterizza la cosiddetta letteratura della migrazione è la sua natura prevalentemente autobiografica. Eppure, io non sono molto sicuro che la storia di Svetlana sia in realtà la storia di Marina Sorina (con l’accento sulla o, tiene a precisare sempre Marina, per la quale la pronuncia corretta del nome è un segno di rispetto). In realtà lo dice proprio lei: << la sua voce (quella di Svetlana) è quella di migliaia di altre donne dell’Est, che vivono in Italia custodendo in silenzio il prezzo del nuovo destino che hanno scelto>>.
Sono d’accordo con Marina, con una piccola differenza: non credo che siano loro, le donne del’Est, e neanche noi, tutti noi emigranti sperduti nel mondo, a scegliere il nostro destino. C’è sempre qualcosa dietro le nostre scelte, qualcosa che, in qualche modo ci obbliga a prendere una decisione cosi radicale, altrimenti non vedo perché uno lasci la sua casa, la sua terra, la sua famiglia, i suoi amici, la sua vita, e si avventuri a “cercar pane in lidi ignoti” come scriveva Edmondo de Amicis in una poesia, parlando, in quel caso, degli emigranti italiani.
Spesso negli incontri con i lettori, agli scrittori migranti gli si chiedono perché hanno scelto di scrivere in italiano. Domanda sbagliata! Secondo me non sono gli scrittori a scegliere la lingua nella quale esprimersi, semmai è la lingua nella quale essi abitano che gli “obbliga” ad usarla. È normale e logico, se uno vive in Italia e ha qualcosa da dire lo deve dire, o scrivere, in italiano e non in turco, altrimenti chi lo starebbe a sentire?
Marina Sorina è nata in Ucraina da genitori ebrei e parla quasi sempre il russo (in realtà parla cinque lingue). Secondo voi, perché “ha scelto” di scrivere il suo romanzo in italiano e non in russo o qualche altra lingua che conosce?
Io credo che Marina Sorina, ucraina di origini ebree, che ha studiato in russo a Mosca, in ebreo a Gerusalemme e si è laureata in lingue in Italia, potrebbe riservarci delle belle sorprese in futuro. Forse questo titolo e questa copertina la nasconde per ora alla critica letteraria che “conta”, ma, chi sa, magari qualche critico passato agli ‘anta …!
“Voglio un marito italiano. Dall’Est per amore?” Marina Sorina; Editore: Il Punto d’Incontro, 2006; Collana: Donne in corsivo; Pp. 295; € 14.90, ISBN: 8880935178