A cura di Francesca Chiarla
Alla voce “argonauta” nel Dizionario della Lingua Italiana, oltre all’etimologia della parola composta dal greco argo, veloce e nauta, navigante, compaiono il suo significato mitologico gli Argonauti erano, infatti, i marinai della nave Argo guidata da Giasone, seguito dal suo significato zoologico che indica come argonauta un simpatico mollusco con otto tentacoli ed una conchiglia che usa come barca per navigare durante i periodi in cui il mare è più calmo.
E “L’Argonauta” è il titolo che Milton Fernandez sceglie per il suo romanzo proprio a sottolineare la posizione di eterni navigatori che tutti i personaggi del testo sembrano incarnare e vivere nella loro condizione di esiliati. Lo scrittore, uruguaiano di nascita e in Italia dal 1985, rievoca il periodo feroce della dittatura militare, durata in Uruguay dal 1973 al 1984, attraverso le scelte politiche di Estela giovane militante di sinistra che porterà alla realtà dell’esilio Julio, protagonista e voce narrante del testo in continua lotta con se stesso, non tanto per un problema di identità scissa, ma a causa della propria presa di coscienza in divenire. Egli rappresenta quella generazione di giovani fuggiti da un contesto sociale disumano che, nella sopravvivenza dell’esilio, continuano a soffrire a causa della memoria che li insegue, li chiama e non li lascia vivere: “Ecco, il telefono, appunto. Questa presenza opprimente, molesta che non ci permette di tagliare neppure uno dei dannati ponti, di bruciare le navi, di dare la schiena al tempo consumato, stantio, alle che avremmo voluto non vedere mai, alle parole di cui avremmo fatto volentieri a meno…”(pagg.162/163).
Il tema della memoria ci riconduce, inevitabilmente, al tema della paura così fortemente presente in questo testo che giunge ad indurre dolore fisico al protagonista e che viene visualizzato e descritto con straordinaria ricercatezza; alcune volte, quindi, la paura ti può affogare e può stringere lo stomaco in una morsa o ti blocca e ti annulla come essere umano, ma altre volte si spinge al di là del decifrabile e del comprensibile: “La paura è la sintesi di se stessa, il proprio clone, un’immagine sdoppiata. Paura della paura. Paura di cedere alla paura. Paura di vincere la paura.” (pag. 159). Se da un lato questa tematica fa da sfondo a tutte le vicende reali e psicologiche sulle quali è costruito il romanzo è evidente che diventa centrale soprattutto nella prima parte ambientata in una Montevideo schiacciata da una di quelle feroci dittature che per anni hanno tristemente accomunato diversi paesi dell’America latina.
Anche se tutta la narrazione è caratterizzata da toni drammatici, ad un certo punto, l’autore sembra dare una risposta alle domande esistenziali, legate ad una situazione umana limite, che il protagonista con frenesia continua a porsi utilizzando un interlocutore che immaginiamo possa essere uno psicoterapeuta. La soluzione alla paura arriva attraverso personaggi e brani della mitologia greca e più nello specifico attraverso la figura di Ettore che, nell’Iliade, scegliendo di battersi contro Achille, affronta le proprie paure e diventa invincibile. Julio arriverà a guardare in faccia le sue paure solo lontano dalla terra natale, in una città difficile come Milano nella quale si trova a ricoprire la scomoda condizione dell’immigrato che Fernandez interpreta con pungente efficacia come “avanzo di umanità di seconda scelta che mendica il permesso di esistere”. In un ambiente estraneo ed ostile come questo, il protagonista ricorre alla figura mitologica di Tritone che invoca come una sorta di alter ego ogni volta in cui si impone di andare avanti, di camminare per non pensare e per sentire di esserci ancora; non a caso Tritone è quella figura mitica che indica a Giasone e agli Argonauti la rotta da seguire nella loro missione alla conquista del vello d’oro.
Un altro aspetto sul quale vale la pena spendere alcune parole è la scelta di un linguaggio ricercato che analizza il significato di parole che non appartengono alla lingua madre dello scrittore, ma che egli sa utilizzare e “domare” per esprimere sensazioni e descrivere luoghi giunti direttamente da angoli bui della memoria. Quindi, a capitoli che raccontano la storia nel suo susseguirsi di fatti si alternano parti in cui i sentimenti ed i pensieri del protagonista invadono con forza la mente del lettore che palpita ad ogni virgola e tira un sospiro di sollievo ad ogni punto esclamativo ed altre parti, quasi scritte in versi e senza punteggiatura per le quali è stato scelto il carattere corsivo forse per suggerire la loro appartenenza ad una dimensione onirica e quasi visionaria che sembra rievocare nella sua simbologia complessa e poco immediata la più famosa “Ballad of the Ancient Mariner” di T.S. Coleridge.
Il libro si conclude con un nuovo dilemma per il protagonista; dopo la gioia dell’annuncio della fine della dittatura in Uruguay, bisogna fare la scelta se restare in un paese dove si è e si sarà sempre ospiti o ritornare in una terra idealizzata che, probabilmente, si è trasformata diventando, per alcuni aspetti, una terra sconosciuta. Ed ecco qui uscire fuori tutte le incertezze e le paure di questa generazione di giovani che mai avrebbero creduto che il pensiero del ritorno potesse essere così doloroso e che, forse per la prima volta nella loro vita, si trovano a dover prendere una decisione non dettata dalla necessità di sopravvivenza: “Ci si ritrovava fragili e sperduti, come non avremmo mai immaginato, con l’ansia di non essere più all’altezza, un senso diffuso di inutilità….il timore di non essere più capaci di adattarci ai cambiamenti” (pag. 166). Ed il nostro protagonista sembra fare proprie queste sensazioni ed incarnare fino in fondo l’impossibilità e l’incapacità del ritorno tradotte dalla crudeltà e drammaticità di un atto estremo per cancellare il passato ed il suo paese e dalla presa di coscienza della sua “non appartenenza” a nessuna realtà e a nessun luogo: “Dice il tale che bisogna ricrearsi il mondo. Una parola! Io gli dico che prima o poi, qualcuno dovrà fondare un mondo nuovo per gente come noi rimasta a metà di tutto” (pag.180).
L’argonauta, Milton Fernandez, Editore: Traccediverse – 2007 pp. , 11,00 € ISBN: 88-89862-36-x