Una recensione Di Monica Buffagni.
Sfogliando “Future“
Sfogliando “Future -il domani narrato dalle voci di oggi”, a cura di Igiaba Scego, edito da “effequ” nel settembre 2019, ci si sente avvolti dal sospiro del vento, dai sussurri e dalle urla, dalle risate e dai lamenti, dall’orgoglio e dal dubbio, di tante voci diverse, di tante diverse anime, accomunate dall’essere donne africane nell’Italia di oggi.
Tante donne diverse, dicevamo, donne africane con stili, esperienze, modi di essere differenti, che si ritrovano a conversare -e a denunciare ingiustizie e disuguaglianze, come ci ricorda la Scego nella sua introduzione-sotto i rami ricchi di foglie, foglie simili alle parole, ai pensieri, alle emozioni di ognuna, di un grande albero immaginario e suggestivo, che ci accoglie anche graficamente e sottolinea la dimensione corale del libro. Ideato e pensato sulla scia della cosiddetta “letteratura migrante”, gli scritti in lingua italiana di autori di altra origine, che da diversi anni a questa parte stanno conquistando un proprio spazio letterario e politico, nato, però, con una propria identità, che riunisce in sé le positive esperienze ereditate, ma è anche consapevole delle differenze che necessariamente lo distaccano da chi ha vissuto e scelto di raccontare in precedenza, questo libro-raccolta, questo scritto corale dal sapore di lotta, politica e culturale, di solitudine, di attesa, di delusione, a volte, di soddisfazione, anche per quanto raggiunto, ci accompagna in un percorso di riflessione e di confronto.
La migrazione è qui il tema portante che dà voce a chi l’ha vissuta in prima persona o ne è il figlio, come per le seconde generazioni, così come la ricerca e la costruzione di un futuro, come auspica il titolo, in bilico tra mondi diversi, forgiando la propria identità, nel mescolare elementi culturali della terra di origine, spesso solo quella dei genitori, con quelli della terra italiana, che non solo ospita, ma è ormai la propria realtà. Si aggiunge, in più, l’essere donna a questo mosaico intricato,spesso difficile, in infinite sfaccettature, mescolanze, differenze e condivisioni.
Le donne di Future urlano,
Le donne di Future urlano, anche quando sussurrano; lanciano un preciso j’accuse alla società e agli uomini, si raccontano con impeto e passione, con sincerità spesso disarmante, riuscendo a sottolineare come la maggiore mutilazione e sofferenza sia quella di non avere le parole per esprimersi, in qualsiasi forma ciò possa realizzarsi.
Penso alla appassionata Marie Moise, che ritrova il suo passato haitiano e le radici negate finanche nella pronuncia del cognome paterno, divisa tra queste e la italianità materna che doveva costituire la normalità -ammesso che essa esista- e che possiede il fallimento come suo opposto. Marie, che “piange un fiume di risate”, che affronta con delicatezza i temi del rapporto uomo-donna nelle culture, della paternità, del grande ruolo delle donne nella società, a partire da quello nella micro-società della famiglia, apre il volume e invita il lettore a non abbandonarlo più, per cercare il filo rosso delle parole tra tutte queste vite. Ognuno di noi può trovare nei racconti un battello che raccoglie le idee e le trasporta lungo il fiume di questo viaggio, popolato di figure femminili, ora aspre, ora dolci.
Incontriamo, leggendo, saltando in avanti e ritornando indietro, alla ricerca di un momento, di una parola, di un istante, simile a noi, conosciamo, dunque, la magica figura della Zia africana, dallo scritto di Djarah Kan, una visione di oro e di viola, che parla una lingua simile ad un germoglio appena uscito dalla terra,ridipingendo nomi e cose con un incantesimo di Ghana segreto, che rimanda agli antenati e stupisce la nipote bambina, consegnandola ai legami di sangue, di identità culturale, di matrice originaria, che tiene insieme passato e futuro. Il nome è identità, è futuro, dunque, ma non sempre viene riconosciuto e accettato; eppure, senza di esso, siamo nulla, siamo monchi. Il potere di una parola, che agli occhi neri sembrano possedere solo i bianchi, la dicotomia tra apparenza e interiorità consapevole ed inconsapevole, seguono le righe di questo scritto.
Nel lavoro di Angelica Pesarini, basato su una storia realmente documentata, lo stile, che mescola emozione e sobria enunciazione dei fatti, ci riporta all’Italia coloniale, oltre che alla universale potenza dell’amore, amore che “nonostante battiti intensi, raramente poteva fiorire, poiché concepito in un terreno di oppressione e violenza”.
L’amore si cita anche nello scritto di Ndack Mbaye, un amore di maniera che riguarda le persone prive di fantasia, e che durante la veglia dell’ultimo dell’anno, diventa occasione per riflettere sulla condizione femminile in Senegal, e come essa si possa accomodare e conciliare in Italia, così come la lacerazione della morte assuma sfumature e spettri diversi nelle culture, per ritrovarsi nel comune sentire.
La rabbia, l’orgoglio, le minoranze come dimenticati e ignorati, il suono dell’odio silenziato-riprendo la graffiante e bellissima espressione di Leaticia Ouedraogo,nel suo “Nassan Tenga”, il nome Europa in moorè- sono temi universali che qui si rincorrono nei vari racconti, così come i raggi e i ricordi di Terre di origine, vissute spesso con ambivalenza e altrettanto spesso non riconosciute dalla società intorno.
Piena di spunti è senz’altro la storia della “afroitaliana espatriata in Olanda e rimpatriata a Milano” -prendo in prestito la definizione dell’autrice Addes Tesfamariam-, in cui risulta evidente come ogni società, ancora oggi, conservi al suo interno anche una rappresentazione dell’altro da sé in forma spesso stereotipata e ricca di pregiudizio.
La memoria è un incanto, però, ci dice Leila El Houssi, nel racconto omonimo, è terra di tormento e di delizia, è radice forte e sicura, così come fragile e incerta; le tradizioni, gli usi che sottendono ad una visione della vita e dei ruoli umani costituiscono un fardello,quando sembrano ostacoli per la comprensione altrui, ma sono anche difesa e baluardo della propria forza ed identità, spesso attraverso la potenza della narrazione, un’eredità preziosa che tenta di miscelare la cultura di origine con quella del Paese in cui si vive. Appositamente, non uso il termine “che ospita”, perché va ben oltre a ciò e si tinge dei colori transculturali dell’intreccio profondo e mai prevaricante tra elementi, come sfumature che ritrovano una strada comune.
Sì, può affermare il lettore di Future, alla fine dell’avventura della mente e dell’anima che rappresenta questo libro: condivido felicemente la confusione barocca citata dalla Scego e appartengo anche io, insieme a voi, al caos primordiale di una italianità complessa e accogliente, piena di contradizioni.
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Titolo: Future. Il domani narrato dalle voci di oggi. AaVv. A cura di Igiaba Scego. Effequ 2019 Pagine: 224 Prezzo: €. 12,50