La poesia di Márcia Theóphilo ci viene da altrove, dal mondo mitico dell’Amazzonia ma attraverso una lingua europea, il portoghese del Brasile. I testi di Márcia sono tessuti con segni, misure e musica d’Europa, ma nel loro cuore è racchiuso il rovescio di questi segni: un sogno mitico diverso dal sognare e dal mitologizzare dei popoli boreali. Questo sogno per significare la sua diversità si serve di una lingua altrettanto antica, ma di un’altra civiltà. I segni, le misure e la musica e il loro rovescio formano così una congiunzione paradossale.
Come vive e si esprime questo paradosso attraverso il discorso poetico?
Innanzitutto esso ci appare presentandosi come una precisa intenzione originaria del dire che si annuncia e si afferma nella volontà di raccontare:
«Yanoá è venuta a raccontarmi una storia, il suo sguardo
era colmo di sé e dell’immensità del suo pensiero. Il pensiero
correva e il fiume impetuoso l’ascoltava cullando la sua voce
ripeteva quello che aveva appreso dagli uccelli,
d’ogni colore il meglio, l’idea allegra di vivere,
giorno per giorno armonia cercando con il cosmo.
Yanoá non distingueva fra pensieri e sapori. »
– Dalla prefazione di Armando Gnisci –
Scheda:
Autore: THEOPHILO Marcia
Anno: 1992
Genere: Poesia
Casa Editrice: Edizioni dell’Elefante
premio Città di Roma 1992