di Karim Metref
Se vi capita di incontrare uno di quei ragazzi, in genere senegalesi, che vendono libri delle Edizioni Dell’Arco per la strada e che ve la sentite di prendere qualcosa, non prendete uno a caso, così, tanto per fargli piacere. Fatevi piacere anche a voi stessi. Chiedete Alida di Brhan. T. F. Non ve ne pentirete.
Alida è un romanzo del giovane scrittore eritreo che si firma Brhan T. F. Un autore che non è alla sua prima opera. Ha al suo attivo due raccolte di poesie, “L’ombra del poeta” (ed. Mauro Baroni. 1997) e “Macchie della pietra (Morgana Edizioni, 2002), e un altro romanzo, “La signora monologa” (Morgana Edizioni, 1998).
Alida è il nome della giovane protagonista del romanzo. La storia è ambientata in un non ben definito paese africano: tra “La Capitale”, una grossa metropoli dell’interno del paese, e “Il Porto”, una località marittima più piccola ma economicamente molto attiva e situata ad un centinaio di chilometri dalla Capitale. Ora, chi conosce un po’ della geografia dell’Eritrea capisce subito che le descrizioni corrispondono esattamente ad Asmara (la capitale) e a Massaua (il principale porto) in Eritrea. Ma l’autore non ha voluto nominare i luoghi, proprio per dare questa dimensione, se non addirittura universale, almeno continentale al suo romanzo. Alida potrebbe ben essere una ragazza di qualsiasi capitale africana. “Un romanzo ambientato in un paese caldo”, dice Brhan.
È veramente peccato che, d’aspetto, il libro si presenti un po’ male. Carta di scarsa qualità, copertina di gusto discutibile, impaginazione sovraccarica, ma soprattutto assenza quasi totale di editing. Ci sono pagine in cui ci sono almeno 4 a 5 refusi non corretti, parole ripetute…
La casa editrice Edizioni dell’Arco (Ediarco Srl) è senz’altro una casa Editrice fuori dal comune. Però mi viene da chiedermi ogni volta che vedo i loro libri: “questo straordinario lavoro sociale non può essere coniugato con qualità, estetica etc…?”
Ma torniamo a Alida, perché la qualità della carta o qualche refuso dimenticato non cambia niente alla bellezza del racconto stesso. Alida, come dicevamo quindi, è una ragazza africana che vive insieme ai suoi in un quartiere povero della “Capitale”. La realtà è quella, comune a tante popolazioni africane, divisa in quartieri poveri dove la sopravvivenza è sempre all’ordine del giorno, dove si sa solo alla fine della giornata se ci sarà o meno da mangiare a cena, e quartieri ricchi dove il livello di vita sembra calcato da una qualche soap-opera hollywoodiana.
Anche se il romanzo è suddiviso in tredici capitoli, per me, è come se fosse stato diviso in due parti importanti. Due parti che sarebbero state scritte da due persone diverse.
Dal primo all’ottavo capitolo, mi ha fatto venire in mente che dietro al nome maschile: Brhan, e alla foto dell’autore potesse celarsi in realtà una scrittrice donna. Una specie di Yasmina Khadra (scrittore algerino che si firma con il nome di sua moglie) alla rovescia. Non soltanto una donna ma una femminista. Leggendo questa prima parte del romanzo mi tornò in mente Khadidja, una ex combattente per l’indipendenza dell’Eritrea, incontrata dodici anni fa in Italia in un incontro internazionale. Una donna bella, forte, grintosa: indomabile. E così è anche Alida. Giovane ragazza molto bella e ingenua ma che istintivamente si ribella alla condizione che riduce le donne del suo quartiere dove condizioni economiche, tradizioni e chiesa si alleano per trasformarle in semplici ombre dei loro uomini. Aiutata da uno spirito benevolo che la abita e le dà forza, Alida si oppone e fugge alla sua condizione di donna/schiava. Resiste alle pressioni di sua madre, combatte corpo a corpo contro suo padre e lo neutralizza sul suo terreno, quello considerato tradizionalmente esclusivo dei maschi: la forza fisica, respinge le sollecitazioni del prete ad espellere il demonio che la abita e decide di tenere dentro di se lo spirito ribelle. Alida prende e se ne va semplicemente altrove, verso il mare, verso la libertà, da sola, calpestando tutte le regole socialmente ammesse nel suo ambiente.
Ma finito l’ottavo capitolo, mentre mi preparavo ad assaporare la vittoria trionfale di Alida sulla tradizione e sulla supremazia maschile, entra in gioco la seconda “anima” del romanzo. La realtà ritorna a gala dura e cruda. Alida rientra nell’ordine e sceglie la comodità. In sottofondo alla storia di Alida, in questa seconda parte, s’intravede la situazione attuale di tutta l’Africa che, per paura del caos, si accontenta di vivere all’ombra dei suoi dittatori e delle famiglie di commercianti che ne risucchiano la linfa e per venderle mantenendo così i loro privilegi e il loro misero potere su delle popolazioni affamate ed esauste.
Leggo la fine dolorosa del romanzo e mi sento invaso da un sentimento di impotenza. Comincio a sentire rancore nei confronti dell’autore. Perché aver dato vita ad Alida (alla speranza) per poi trascinarla nel fango in quel modo? Ma pensando alla situazione attuale dell’Africa, mi rendo conto che la situazione è quella che è e qualsiasi romanzo pieno di ottimismo altro non sarebbe che una bella favola per far addormentare i bambini.
Alida quindi sarebbe l’Africa: bella, bellissima, forte, fortissima, generosa, generosissima ma ridotta in schiavitù ed umiliata. E Brahan T. F. non se l’è sentita di raccontare una fiaba, non ha voluto cullarci e lasciarci in preda ai nostri sogni ma ci riporta brutalmente verso la realtà.
Mi torna in mente l’ultima frase del romanzo: “I frammenti di vaghe speranze tenevano distante ogni decisione. Che cosa poteva fare? Che cosa potevano fare?”
E già! Che cosa possiamo fare?
Brhan T. F. Alida. Adizioni Dell’Arco. 2006. 176 pp. €. 6,90